Massimiliano Fuksas

Al centro dell’attenzione per l’espressività delle sue opere e l’intensità con la quale esprime il suo pensiero, è uno dei più noti architetti contemporanei. La sfida di Tracce è stata quella di cogliere alcuni degli aspetti meno conosciuti del suo lavoro, cercando di superare anche gli stereotipi che ne caratterizzano l’immagine pubblica

Massimiliano Fuksas nasce a Roma nel 1944, dove si laurea in architettura all’Università La Sapienza nel 1969. Immediatamente crea il suo studio romano, al quale seguono nel 1989 e nel 1993 rispettivamente quelli di Parigi e Vienna. Produce in molteplici campi dell’architettura e riceve commesse prestigiose, pubbliche e private in tutto il mondo. Parallelamente svolge un’intensa attività seminariale ed editoriale, con interventi in diversi campi delle arti visive. Nel 1998 gli viene conferito il premio alla carriera “Vitruvio international a la Trayectoria” a Buenos Aires e dal 1998 al 2000 è direttore della VII Biennale Internazionale di architettura per la Biennale di Venezia. Il suo lavoro è riconosciuto a livello internazionale per la creatività e la forza innovativa che esprime nelle tecniche e nelle soluzioni.

Ha in corso uno dei più grandi cantieri del momento, quello per la nuova fiera di Milano. Almeno altri due suoi progetti sono al centro delle discussioni più vivaci dell’architettura contemporanea, tanto da interessare e far parlare anche i quotidiani e le principali testate giornalistiche. Lui stesso scrive e tiene rubriche fisse su settimanali d’informazione. Lo si trova in copertina sui magazine e allo stesso tempo il suo contributo è richiesto dalle università. Personalità certamente poliedrica quella di Massimiliano Fuksas, le cui opere sono spesso lo specchio del suo carattere e, certamente, del suo pensiero: innovative fino al limite della provocazione, dotate di una forza espressiva che le fa emergere e le rende uniche. Tracce ha volutamente scelto di intervistarlo in un momento in cui di Fuksas si parla molto, per cercare di andare oltre certi stereotipi e cogliere l’essenza del suo pensiero.
Cominciando dal rapporto fra Fuksas e la committenza, considerando le dinamiche che possono crearsi tra chi commissiona opere estremamente importanti e un architetto che ama definirsi un generatore di emozioni.
“La mia committenza si identifica essenzialmente con persone che conoscono il mio pensiero e il mio lavoro.  Ritengo che chi si rivolge al mio studio sa bene come opero. In particolare sono persone che hanno ambizioni e si muovono con passione, oltre che per scopi sociali o imprenditoriali, che hanno un profondo rispetto per i valori culturali e per l’architettura in particolare. Facciamo due esempi pratici: la progettazione del centro ricerche Ferrari di Maranello nasce da un’idea di Luca Cordero di Montezemolo, dalla sua ambizione di creare un campus della ricerca all’altezza del marchio Ferrari e dove le persone che vi lavorano siano poste nella migliore condizione per farlo. Lo stesso avviene nel caso del nuovo quartier generale delle distillerie Nardini: qui l’idea si sviluppa a partire dall’ambizione e dalla passione di Giuseppe Nardini e della sua famiglia che, dopo 225 anni di storia nella produzione di grappe, decidono di regalarsi un’architettura che rappresenti l’anello di collegamento fra la loro tradizione e il loro futuro. E che nel fare questo seguono il cantiere con una passione straordinaria, quasi legati alla realizzazione fisicamente, organicamente. Questi sono due esempi di committenti che mi vengono a cercare e che apprezzano il mio lavoro. In tutta franchezza penso che ci siano altresì molte altre persone e società che non chiederanno mai a Massimiliano Fuksas di progettare per loro alcunché. E io, da parte mia, ne sono felice! La cosa interessante è che muoversi con ambizione e passione è un fenomeno possibile anche quando non è strettamente legato a idee e progetti personali. Anche grandi società possono muoversi sugli stessi principi. È il caso della nuova Fiera di Milano. Un gruppo di società che dopo cinque anni di studi da parte dei propri uffici tecnici, hanno raggiunto la conclusione di volere un’opera con contenuti espressivi e simbolici di un certo tipo, tali da identificarla a livello mondiale anche dal punto di vista architettonico. Per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche un caso eclatante è quello della giunta Chiamparino a Torino, con la riqualificazione dell’area di Porta Palazzo e la ricostruzione del mercato dell’abbigliamento, un vero e proprio progetto pilota sul nuovo rapporto fra storicità di una città e aspettative dei suoi abitanti. In tutti questi casi al pragmatismo e alla funzionalità si lega sempre la ricerca di emozioni, la volontà di creare segni di riconoscibilità forti e che portano in sé la volontà di dichiararsi come tali, proponibili con orgoglio, nel senso più positivo del termine”.

L’architettura stabilisce nuovi dialoghi con le altre arti visive, superando i tradizionali confini settoriali oltre che geografici

Abbiamo ricordato quattro opere molto diverse fra loro per finalità e funzioni, eppure tali da apparire legate da un filo conduttore, che è allo stesso tempo ideale ed estetico. “Certamente. Fanno parte della stessa voglia di mostrare un’Italia attiva e positiva, anche e soprattutto nei confronti della nostra immagine all’estero. Un’Italia vincente sul terreno della creatività, della fantasia, della qualità. Un’Italia in grado di realizzare opere con un’anima e dettagli superiori a chiunque altro oggi in Europa”. In questo senso spicca con ancora maggiore evidenza come il lavoro e le opere di Massimiliano Fuksas stabiliscano dialoghi continui e inscindibili con i percorsi e la propositività complessiva dell’arte contemporanea, ben oltre i confini accademici dell’architettura, sollecitando una riconsiderazione del termine stesso e dei canoni della disciplina. “Io non ci penso assolutamente all’architettura! Nelle dinamiche contemporanee pensare all’architettura come disciplina accademica, rigida e asettica, significa inevitabilmente relegarsi nella marginalità. Il fatto entusiasmante è invece questo: basta porsi in un’ottica di confronto con le altre arti visive e con gli altri linguaggi, per entrare in contesti estremamente stimolanti. Quelli che certamente mi interessano di più. I territori di analisi, confronto e creatività diventano incredibilmente vasti, portando a riflettere su temi che sono anche chiaramente sociali. La qualità della vita urbana, solo per fare un esempio. Ma anche la qualità dei luoghi di lavoro e di incontro, di socializzazione. Da questo punto di vista ci terrei a sottolineare che il mio progetto per la nuova Fiera di Milano rappresenta molto più che un centro espositivo: è una vera e propria ipotesi di città. È una sperimentazione di luogo urbano, come potrebbe essere in futuro una città come Milano nel suo rapporto con i mezzi pubblici, la pedonabilità, i servizi, le infrastrutture… L’obiettivo alla base del progetto e della sperimentazione è in questo caso quello di trovare un equilibrio fra le necessità di incontro e la serenità. Ritengo questo uno degli elementi fondamentali che guidano oggi l’intero mio lavoro e il mio pensiero: l’architettura dovrebbe prima di tutto comunicare serenità. Per raggiungere questo risultato penso che l’architettura dovrebbe sentirsi ma essere invisibile. Per quanto riguarda la nuova Fiera di Milano ho cercato di raggiungere questo risultato attraverso anche le scelte dei materiali oltre che nello sviluppo architettonico. La base del mio lavoro è stato mettere in connessione e stabilire un dialogo fra mondo reale e mondo virtuale. Attenzione però: quello che potrebbe sembrare esclusivamente un impegno creativo richiede invece una grande disciplina interiore, porta a scontrarsi e a superare notevoli ostacoli pratici. La belle idee non bastano, assolutamente! La professione dell’architetto, anche di un professionista affermato, è e rimane irta di ostacoli. Superarli senza rinunciare ad essere sé stessi è parte integrante del lavoro”.

Un continuo lavoro di sperimentazione sui materiali e sui linguaggi

Più volte si cita il nome di Fuksas come l’architetto della leggerezza e della trasparenza, ma dal nostro colloquio sembra emergere un impegno tecnico-creativo che supera i tradizionali stereotipi e che restituisce un progettista molto più concreto e pragmatico di quanto potrebbe apparire. “Sono consapevole di queste etichette che spesso vengono poste sul mio lavoro. Leggerezza, trasparenza, immaterialità… Francamente non ci penso e non mi interessano. Io lavoro con ogni tipo di materiale, con scelte che vanno anche esattamente nella direzione opposta alla cosiddetta immaterialità. Mi sto ora interessando, ad esempio, a del klinker smaltato e ceramicato, che trasmette una forte vibrazione e profondità visiva. Un secondo esempio sono le sperimentazioni che sto compiendo sulla stratificazione del vetro, collocato quindi orizzontalmente e non verticalmente, diventando così una massa compatta, creando una nuova entità materica oltre a particolari variazioni di colore e di luce. Insomma, un materiale deve essere continuamente inventato. Io preferisco la materia al materiale! Per fare diventare il materiale della materia è necessario però intervenire, sperimentare, lavorare… Anche il cemento mi sta interessando moltissimo. Non posso inoltre dimenticare il legno, anche lamellare, che io utilizzo praticamente da sempre, anche se critici e osservatori sembrano a volte dimenticarsene. Proprio non capisco come si possa dire che Fuksas usa solo acciaio e vetro!”. I vantaggi della fama compensano le fatiche di essere così spesso al centro dell’attenzione?
“Ho realizzato il primo edificio a 26 anni.  E per oltre un decennio non è stato pubblicato nulla su di me. Poi le mie opere, soprattutto quelle realizzate in Francia, mi hanno posto all’attenzione internazionale. Ma sostanzialmente non è cambiato affatto il mio rapporto con la professione. Non amo la retorica, meno che meno quella prodotta dall’architettura e da chi parla di architettura senza conoscerla e viverla. Lo ribadisco: compito dell’architetto è trasmettere emozioni e il fatto di essere conosciuto è fondamentalmente il risultato della libertà artistica con la quale interpreto ogni progetto.”