Giancarlo Marzorati

“Ho nel mio DNA le trasformazioni. Non dimentichiamoci che l’architettura ha un compito che altre arti possono anche trascurare: provocare fra le persone azioni, eventi, relazioni.”

Lo “storico” studio di Giancarlo Marzorati sta proprio nel cuore di Sesto S.Giovanni e quindi al centro del cambiamento che ha caratterizzato questo territorio: da culla dell’industrializzazione italiana del XX Secolo a grande fucina di sperimentazione di quella che viene chiamata la “seconda generazione del terziario avanzato”. In questa parte di Lombardia il paesaggio urbano è lo specchio evidente di un’evoluzione profonda. Un processo che si legge palpabile non solo nella riconversione progressiva delle aree ormai a tutti gli effetti considerabili di archeologia industriale, ma nel tessuto architettonico nel suo complesso.

Come ci si sente collocato al centro di una trasformazione che è socio-economica ma anche e soprattutto architettonica?

“Ho vissuto in prima persona questa trasformazione, che è prima di tutto generazionale ed è molto più antica di quanto a prima vista possa apparire. Mia nonna era una contadina sestese che aveva undici figli. In lei si potevano ritrovare tutti gli elementi della società rurale di fine Ottocento. Mio padre era un operaio alla Marelli e ha vissuto direttamente l’economia industriale del territorio, con tutte le sue contraddizioni. Io dagli anni Settanta mi occupo di ripensare la mia città in forme che si pongano dialetticamente in relazione con il presente e con il futuro. Ho nel mio DNA le trasformazioni. Se oggi la Breda, la Falck e la Marelli non esistono più come entità industriali, ad esse si sono sostituite nuove  esigenze e nuove sfide, che parlano comunque di flussi migratori, di traffico e movimento, fino a comprendere l’intera Valle Padana. Sesto è un pò lo snodo di un gigantesco interconnettersi di risorse materiali, economiche, tecniche ed anche culturali. L’architettura ha il dovere di dare risposte a tutto questo. La terziarizzazione non solo è ancora in corso, ma forse è solo agli inizi. Si punta sui grandi centri di raccolta dati, sui poli tecnologici integrati, sulle cittadelle dei media, sull’informatica ma anche su importanti centri di aggregazione sociale come i cinema multisala e i parchi a tema per bambini e famiglie. In queste trasformazioni la qualità delle offerte spaziali, l’impatto architettonico e la vivibilità degli ambienti giocano e giocheranno sempre più un ruolo fondamentale. Le città dovranno affrontare temi quali l’accessibilità, i servizi, l’efficienza. Ma anche la bellezza e il piacere di vivere il territorio e le sue offerte, che non possono essere confinate al solo lavoro. Non dimentichiamoci mai che l’architettura ha un compito che altre arti possono anche trascurare: provocare fra le persone azioni, eventi, relazioni.”

Il suo nome e la sua attività sono sempre più conosciuti per quanto concerne la progettazione di luoghi di spettacolo e intrattenimento. Come nasce la sua esperienza in questo settore?

“Prima di intraprendere esperienze progettuali ho girato a lungo l’Europa e l’Oriente per conoscere e assimilare questa specifica cultura architettonica. Desideravo individuare esempi che mi aiutassero a capire, ma anche e soprattutto cogliere gli errori da evitare. Il primo importante risultato di questo sforzo è stata la multisala Arcadia di Melzo. Un progetto molto ambizioso, in quanto, con l’appoggio incondizionato ed entusiastico della Committenza, volevamo realizzare non solo la prima vera multisala italiana ma il migliore cinema d’Italia. Non so se abbiamo raggiunto questo obiettivo, ma certamente con Arcadia è nato un approccio architettonico che abbiamo poi applicato con crescente successo in diverse altre esperienze.
Io mi occupo di intrattenimento senza pormi limitazioni o classificare il tipo di spettacolo o di fiction per le quali l’architettura offrirà lo spazio dove rappresentarsi. Ritengo altrettanto importante la musica, l’architettura degli auditorium dove suonano le grandi orchestre, così come i cinema, dove l’evento è allo stesso tempo immateriale e però fortemente coinvolgente per il pubblico. Nel corso di questi ultimi anni abbiamo realizzato molti progetti significativi, come Le Porte Franche in Franciacorta, primo esempio di centro commerciale con all’interno una multisala cinematografica.  Proprio in queste settimane stiamo completando la multisala di Muggiò, con quindici sale: una delle più grandi e tecnologicamente avanzate d’Italia.
Attualmente ci stiamo occupando anche del Teatro Ariston di Sanremo, dove storicamente avviene il Festival della Canzone Italiana.”

A quali progetti sta lavorando o pensando in questo momento Giancarlo Marzorati?

“Risponderò con un dato: oggi, nella sola Sesto S.Giovanni, la disponibilità di aree dismesse ammonta ad oltre un milione e mezzo di metri quadrati. Per quanto mi riguarda uno dei progetti che maggiormente mi sta appassionando è la realizzazione della facoltà di comunicazione per l’Università di Milano. Altrettanto stimolante è il progetto per una grande scuola di teatro, che dovrebbe anche comportare il riuso di vecchie sale cinematografiche qui in città. Mi interessa molto la riconversione e la rivalutazione di antiche strutture. Sto allo stesso tempo studiando e producendo. Forse è ancora un ricercare le mie radici e allo stesso tempo proporre qualcosa di nuovo. Un compito e una sfida che mi appassiona anche perchè ritengo identifichi bene non solo la mia personalità ma quella della professione stessa dell’architetto: una inscindibile fusione fra artigianalità e spirito creativo, fra fantasia e logica, che oggi però non può fare a meno della tecnologia.”

Quali sono gli aspetti più rilevanti nel lavoro di progettazione di una multisala cinematografica?

“Sono due gli ordini di valore da prendere in considerazione: il primo è strettamente legato alla qualità di fruizione dell’evento. Ecco allora che bisogna lavorare prima di tutto sugli aspetti acustici e della visione. E’ chiaro che qui l’intervento dell’architetto è legato a quello dei tecnici. Gli aspetti tecnologici sono infatti parte integrante dell’architettura acustico-visiva. Insonorizzazioni, diffusioni bilanciate del suono, curve di visione, solo per fare tre esempi, richiedono un lavoro parallelo fra l’architetto e lo staff di tecnici che si occupano specificatamente di questi temi. Sarebbe inutile infatti realizzare una bellissima sala se poi la “resa” di fruizione dello spettacolo è scadente.  Le multisale andrebbero sempre realizzate tenendo ben separate una sala dall’altra. E’ vero che l’insonorizzazione oggi può fare miracoli, ma è bene partire con il piede giusto. L’obiettivo finale del comune impegno è sempre la qualità, che per quanto riguarda il cinema è il risultato di attenzioni e risultati che comprendono l’intera sfera multisensoriale. Quando ancora la sala è illuminata, è compito dell’architetto fare in modo che la stessa predisponga spontaneamente alla migliore fruizione dello spettacolo: tutto quanto contribuisce a rendere l’ambiente accogliente, vivibile e comodo. La comodità delle poltrone, certamente. Ma anche e soprattutto gli spazi e le distanze, i percorsi di flusso e deflusso, così come i parcheggi, i servizi, la ristorazione. L’argomento può apparire semplice, ma non è così: non dimentichiamo infatti che andare al cinema significa prima di tutto estraniarsi dalla quotidianità.  Vi è infine un aspetto che va sempre considerato: a volte grandi idee e ideali devono poi scontrarsi con i budget. Su questo tema devo dire che la prefabbricazione, soprattutto in questi ultimi anni, ci ha dato una grossa mano. Il lavoro dell’architetto è quindi sempre un gioco di equilibri: deve saper affascinare tanto da portare le persone fuori dalla comodità del salotto di casa, magari farle raggiungere una sala in periferia e nella nebbia; dopodiché deve creare un ambiente che favorisca l’inimitabile sensazione di condividere un’esperienza insieme ad altri. Il cinema resta prima di tutto un evento collettivo. Oggi poi che le multisale sono diffuse, compito dell’architetto è quello di offrire un valore aggiunto alla propria realizzazione. Il pubblico può e sa scegliere. E’ diventato giustamente esigente.  Nella creazione di questo valore aggiunto una parte importantissima riveste anche la gestione della sala. L’architetto può costruire una “bellissima macchina” da spettacolo, ma il pilota, cioè il gestore, conta altrettanto. Sono convinto che l’avvento del digitale, il tramonto definitivo della pellicola,  evidenzierà e farà spiccare ancora maggiormente la qualità dello scenario che ho adesso descritto.”

Ci sono progetti che la indirizzano direttamente sotto i riflettori dove più altisonante è la sfida. Come nasce e si sviluppa il progetto per il nuovo Auditorium di Milano?

“Dal punto di vista ideale, e anche progettuale, non si discosta molto dal cinema, pur con alcune importanti particolarità. Nasce dalla volontà di unire un coinvolgimento estetico di tipo percettivo ad uno di tipo acustico. Ancora una volta il traguardo è la sollecitazione globale dei sensi. In una sala destinata alla musica come quella del nuovo Auditorium di Milano lo spettacolo comincia prima del suono: inizia quando il pubblico entra.  L’emozione rispetto al cinema è più complessa, più sottile, più raffinata e articolata. Ma soprattutto è più soggettiva. Prima di tutto, quindi, creazione di un’atmosfera. Secondo aspetto è l’acustica, che qui vale assai più di quanto non avvenga per le sale cinematografiche. L’obiettivo è garantire che ogni spettatore, dalla prima all’ultima fila, possa fruire della musica nell’eccellenza. In aiuto dell’architetto vi è il fatto che la qualità acustica è modificabile e correggibile utilizzando supporti ed elementi strutturali. Nella sala da musica l’architettura diventa musica! Vi è un’integrazione totale fra le due arti. Per questo la collaborazione fra musicisti ed architetti è strategica, essenziale. Nel caso del nuovo auditorium di Milano il dialogo che ho avuto con il maestro Chailly e con l’acustico Dott. Enrico Moretti è parte integrante del progetto e del risultato. Uno dei temi più interessanti della nostra collaborazione si è basato su questo aspetto: fra i compiti di un’ottima sala vi è quello di fare sentire la musica ai musicisti. Voglio dire che chi suona deve potersi ascoltare, prima ancora che farsi percepire dal pubblico. Questo impone alle superfici che circondano l’orchestra di essere diffondenti ma anche riflettenti. La  cosa è importantissima quando c’è un solista che deve sentirsi e allo stesso tempo sentire l’intera orchestra. Da queste considerazioni scaturisce che ogni sala da musica e ogni teatro è un caso a sé, un unicum, con le sue particolarità e il suo carattere. Faccio un altro esempio:  se nel cinema quindi l’architetto è anche un tecnico, nelle sale da musica deve inevitabilmente essere anche un pò musicista; o almeno saper parlare con i musicisti. E soprattutto saperli ascoltare.”