Andrea Morgante

Andrea Morgante, architetto, inizia la sua formazione a Milano, ma subito dopo si trasferisce a Londra nel 1997, dove collabora inizialmente con Rmjm. La redazione della rivista di architettura Tracce continua i suoi dialoghi nel mondo dei professionisti.
Nel 2006 Andrea Morgante diventa direttore associato dello studio di Future Systems, lavorando fin dall’inizio sempre a stretto contatto con Jan Kaplický.
Nel 2009 la decisione di fondare un proprio studio: nasce Shiro Studio, atelier di progettazione architettonica e di product design.
Da subito un progetto di grande importanze e forza mediatica, il completamento del Museo Casa Enzo Ferrari di Modena.
Il suo impegno nel mondo dell’architettura lo porta a collaborare con importanti aziende come D-Shape, DND, Alessi, Agape Design, MGX e Poltrona Frau.

Londra è un osservatorio privilegiato per l’architettura: quali le tendenze.

Devo ammettere che da quando mi sono trasferito in modo stabile qui a Londra nel 2000 ho smesso di osservare e catalogare le tendenze o gli stili. Quello che mi lega fortemente a questa citta’ è la sete e voglia di cultura, il continuo investimento nell’arte, fatto in modo trasparente e genuino. Investimento che e’ quasi unico. Basti pensare che la maggior parte dei musei e gallerie piu’ importanti (British Museum, V&A, Tate) sono ad ingresso gratuito. E non chiudono di lunedi’. Infine la concentrazione di artisti, designer e architetti…una concentrazione fenomenale, fatta di personaggi come Anish Kapoor, Antony Gormley, Zaha Hadid, Ross Lovegrove, Richard Rogers, solo per citarne alcuni.

Il suo punto di vista sull’architettura nel nostro Paese, l’Italia.

Il contrario di quello che ho scritto nella domanda precedente. La mancanza di investimento nell’arte e cultura, e quindi anche Architettura. L’accettazione forzata e subliminale della mediocrità dell’ambiente costruito. La supremazia incontrastata della speculazione. Però, paradossalmente, l’esistenza di maestranze ed aziende con talenti impareggiabili. L’innovazione e ricerca hanno però un costo, e senza investimenti non c’e’ innovazione, e senza innovazione non c’è futuro.

Rendere “l’invisibile tangibile” è un concetto della sua filosofia. Può spiegarci il senso e in cosa si traduce.

La frase sottende al “modus operandi” del mio progettare. L’estrapolare e rendere tangibili le forze strutturali ed emotive, che altrimenti passerebbero inosservate. E’ una prassi progettuale che applico in qualsiasi scala, dal design all’architettura. Rendere tangibili le emozioni, alcune riflessioni o mettere a nudo le linee strutturali delle deformazioni plastiche sono un tema che mi accompagna sin dall’inizio del mio lavoro e che cerco di perfezionare e rinnovare in ogni nuovo progetto.

La cultura della sostenibilità in che modo influenza la sua visione e il suo approccio da architetto.

L’approccio progettuale contemporaneo deve contenere implicitamente delle esigenze di salvaguardia energetica. Questa è ormai divenuta una prassi obbligatoria per la nostra generazione di progettisti. A mio parere l’applicazione delle tecnologie atte al presidio di risparmio energetico ed utilizzo di materiali sostenibili deve essere attuata in modo discreto ed organico, ovvero intimamente legata al linguaggio di progetto. Nel caso del Museo abbiamo voluto sin dal principio utilizzare sistemi di raffrescamento a basso consumo energetico, quindi evitando l’uso di aria condizionata e puntando su un forte isolamento termico e con l’utilizzo di sonde geotermiche e scambiatori di calore. Il risultato è tangibile, ed in piena estate, quando a Modena si registrano altissimi tassi di umidità ed elevate temperature oltre i 35 gradi, all’interno del Museo la temperatura è sempre molto gradevole, merito anche di una strategia di ventilazione naturale, che usa le “prese d’aria” sulla copertura per smaltire il calore in eccesso accumulato all’interno dell’edificio.

In che modo e su quali imput sviluppa le sue ricerche.

La costante ricerca che identifica il mio studio è, come mi piace definirla, omivora: i paralleli con discipline parallele è fondamentale. Nel mio studio raccolgo in modo maniacale libri di anatomia, aviazione, metereologia, fabbricazione digitale.
La natura è la fonte di ispirazione ultima perchè ci insegna ad utilizzare quello che è necessario: nulla di più, nulla di meno. Non è minimalismo, ma efficienza organica. Sono totalmente affascinato dall’efficienza strutturale di alcune piante o della struttura spugnosa delle ossa: nel mio studio, ad esempio, ho un femore di cammello; un oggetto che pesa 5 chilogrammi e che può portare un peso di 250Kg. Questa è l’efficienza che mi affascina e a cui cerco di dirigere i miei sforzi progettuali.

L’ esperienza della Casa Museo Enzo Ferrari è qualcosa che non può essere inquadrata solo come lavoro. Quali le sensazioni e le soddisfazioni da architetto italiano.

Il progetto e soprattutto l’esperienza in cantiere hanno riassuno e riconciliato gli ultimi 12 anni di esperienza lavorativa di base a Londra, ma sempre fortemente segnata dal dialogo e lavoro con molti clienti italiani. Un’esperienza straordinaria perchè passare da 200 disegni costruttivi su fogli A1 alla realizzazione è un avvenimento unico, anche per il fatto che il progetto del Museo si basava su tecnologie costruttive uniche e mai sperimentate, come la copertura in alluminio e la facciata doppiamente curva a cavi pre-tensionati. La soddisfazione più grande, o meglio privilegio, è stata quella di aver avuto la possibilità di lavorare (e imparare) al fianco di maestranze e costruttori di talento straordinario, dalle imprese più grandi, agli ingegneri fino al fabbro. Questo per quasi tre anni, periodo in cui ho speso meta’ del mio tempo in cantiere, su e giù da Londra ogni mese.

In questo progetto quali le scelte progettuali, architettoniche e costruttive per non perdere il legame con la storia, pur non rinunciando ad innovare.

Questa dialettica, consumata fra tradizione ed innovazione è senza dubbio il vero “genius loci” culturale di Modena. Lo dimostra la vita e le conquiste di Enzo Ferrari stesso, un uomo fortemente legato alla terra modenese e alle sue tradizioni ma in grado di abbracciare e spingere al limite l’applicazione delle tecnologie più recenti. Nel progetto questo è ulteriormente dimostrato dalla convivenza di due edifici, ovvero la nuova Galleria e la Casa Natale di Enzo Ferrari: la Galleria che è il manifesto del costruire contemporaneo e la Casa Natale, un edificio dei primi dell’ottocento che ha subito un restauro conservativo e sensibile al luogo e alle tecniche costruttive squisitamente modenesi.

Il progetto che non ha ancora fatto.

Più che il progetto non ancora fatto quello che mi piacerebbe fare…un ospedale, forse l’ambizione più nobile ed umile dell’architettura e del design, proprio perchè a totale servizio della società. Spero non rimanga un sogno…

Copyright: Andrea Morgante – SHIRO STUDIO